mercoledì 28 ottobre 2009

Infanzia negata



Nel mondo la povertà, la lotta per la sopravvivenza o la ricerca del profitto senza scrupoli generano nuove forme di schiavitù, che non risparmiano neanche i bambini: pensiamo al lavoro o alla prostituzione minorile. E quando parliamo di mondo citiamo anche l'Italia, sebbene il fenomeno assuma da noi forme meno raccapriccianti che altrove. Dello sfruttamento del lavoro minorile quasi non si parla. In molti casi è la lotta per la sopravvivenza che induce i genitori a consentire il lavoro dei propri figli; ma spesso al bisogno materiale, all’impossibilità di indirizzare i figli verso un’istruzione, si somma una “povertà culturale” che porta a considerare la scuola inutile e, di conseguenza, più importante il lavoro. Non ci si rende conto che la rinuncia ad una crescita sana, graduale e completa lascia cicatrici per tutta la vita. Cicatrici anche nelle possibilità di sviluppo di una nazione, che rinuncia a ricchezze intellettuali e professionali. L’Organizzazione Internazionale Lavoro (O.I.L.) quantifica in oltre 200 milioni il numero di minori tra i 5 e i 17 anni che in tutto il mondo sono indotti al lavoro. Di questi, 120 milioni sono impegnati in attività a rischio, e 6 milioni (secondo l'Unicef) sono i bambini schiavi. Occorre una cooperazione internazionale continua ed incisiva, volta a modificare questa vergognosa realtà. L’associazionismo, il mondo sindacale e, soprattutto, l'O.I.L. da tempo collaborano con i Governi in azioni politico-diplomatiche per convincere alcuni Paesi a ratificare le esistenti Convenzioni fondamentali sulla tutela dei minori e, soprattutto, a rispettarle e farle rispettare. E’ necessario, a tutela del diritto all’infanzia, evitare che questi validi strumenti vengano disattesi. Bisognerebbe anche prevedere misure per proteggere da eventuali rappresaglie coloro che denunciano violazioni delle disposizioni delle Convenzioni. Un’altra strada che potrebbe essere interessante percorrere è quella dell’ “etichetta etica”, la quale dovrebbe accompagnare i prodotti certificando che non è stato impiegato lavoro minorile. A dire il vero, esistono già alcune società che utilizzano questa etichetta: sta alla nostra maturità e sensibilità di consumatori premiare questa trasparenza.Incredibile, ma vero, anche in Italia resistono questi fenomeni. Da una ricerca ISTAT del 2000 risulta che nel nostro Paese i bambini e gli adolescenti (si badi bene: italiani, non figli di zingari o immigrati) costretti a lavorare nelle imprese di famiglia o altrove (ristoranti, bar, panetterie, macellerie, pasticcerie, sartorie, aziende tessili) sono circa 150mila! Per non parlare poi dei molti figli di immigrati o - a volte - dei minori che giungono in Italia senza genitori. Ai fenomeni di costrizione verso i bambini, si aggiunge la volontà di molti adolescenti, nelle aeree economicamente più evolute, di essere indipendenti (economicamente) dalle proprie famiglie. Anche qui occorre un’azione culturale, una maggiore sensibilità da parte dell’opinione pubblica, sia per prevenire sia per denunciare fenomeni di questo tipo. Sui problemi dei minori in generale (violenze, povertà, ecc) v. anche l'articolo Allarme infanzia: un minore su quattro a rischio povertà.
(dal sito Europa Oggi)

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