giovedì 26 novembre 2009

Violenza domestica uguale tortura



La violenza domestica è una forma di tortura.
Giornata Mondiale contro la violenza sulle donne. Interviene Tove Horneliuso, presidente di Etta Sos.
Scritto per noi da Tove K.Hörnelius*
Secondo Radhika Coomaraswamy, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla Violenza contro le donne, la violenza domestica può essere equiparata alla tortura o trattamento crudele, disumano e degradante, ai sensi dell'Intesa Internazionale sui diritti Civili e Politici, e della Convenzione Contro la Tortura ed Altri Trattamenti o Punizioni Crudeli, Disumani o Degradanti.
Infatti, la violenza domestica presenta le quattro caratteristiche fondamentali che qualificano la tortura: 1) provoca grave dolore fisico o mentale, 2) viene inflitta intenzionalmente, 3) per fini specifici e 4) ha una qualche forma di implicazione ufficiale, sia essa attiva o passiva.
In base alla normativa internazionale dei diritti dell'uomo, gli Stati hanno non solo il dovere di astenersi dal commettere violazioni dei diritti dell'uomo, ma anche hanno quello di prevenirle e dare una risposta efficace alle violenze. Secondo l'ISTAT 2 milioni 938 mila donne hanno subito violenza fisica (12%) o sessuale (6,1%) dal partner attuale o dall'ex partner. Le più comuni forme di violenza fisica sono l'essere stata spinta, strattonata, afferrata per i capelli o storcendo un braccio (63,4%); minacciate di violenza fisica (48,6%), l'essere stata presa a schiaffi, pugni, calci, morsi (47,8%), l'essere stata colpita con oggetti (25,2%), subito la minaccia o l'uso di coltello o pistola (6,8%) o un tentativo di strangolamento o soffocamento (6,6%). Analizzando i tipi di violenza sessuale subita , al primo posto si collocano i rapporti sessuali indesiderati (70,5%), seguiti dallo stupro (26,6%), dall'essere stata forzata ad attività sessuali considerate umilianti (24,0%), dal tentato stupro (21,1%) e dall'essere forzata ad avere rapporti sessuali con altre persone (3,1%). Solo il 18,2% delle donne che hanno subito violenza fisica o sessuale in famiglia considera la violenza subita un reato. Solo il 7,3% della violenza in famiglia è stata denunciata. Le donne che hanno subito più violenze dai partner nel corso della vita, nel 35,1% dei casi hanno sofferto di depressione a seguito dei fatti subiti, perdita di fiducia e autostima (48,8%), sensazione di impotenza (44,9%), disturbi del sonno (41,5%), ansia (37,4%), difficoltà di concentrazione (24,3%), dolori ricorrenti in diverse parti (18,5%), difficoltà a gestire i figli (14,3%), idee di suicidio e autolesionismo (12,3%). Perché ci sono poche denunce? E' ancora l'omertà o l'ignoranza che fa negare l'evidenza? Si parla quotidianamente di queste tematiche e nonostante ciò vince il silenzio.
*Presidente fondatore di Etta Sos, nel 1998 ottiene il diploma di formazione per esperti nella riabilitazione e nella psicoterapia sull'abuso e la violenza dalla Federazione Italiana Psicologi. Etta Sos è un' associazione non profit che ti dà la possibilità di chiedere aiuto in ambito psicosociale, terapeutico e giuridico.
(Apparso su peacereporter.net)

mercoledì 25 novembre 2009

Chi è l'Asso?



Per chi ha voglia di imparare la grammatica italiana e per chi la vuole insegnare in maniera alternativa:
Chi è l'Asso?
Un’appassionante gara tra squadre, il modo perfetto per trasformare un traguardo impegnativo in un gioco divertente.
Sfida fra gruppi, giornata della creatività e tanto altro per imparare giocando.
730 quiz di grammatica italiana e relative soluzioni sulla morfologia, sulla sintassi e su molti altri elementi della nostra lingua.
Con Chi è l’Asso? puoi diventare Asso degli Articoli, Asso dei Pronomi, Asso dell’Analisi Logica, ecc. Vince il gioco chi diventa Asso della Grammatica.
(Sito web ICI, chielasso.it)

martedì 24 novembre 2009

Pensiero libero



"Viviamo nell’umanità in cui siamo come gli esseri umani che siamo.
Pensare è un privilegio e un piacere, una porta alla libertà verso l’interno di noi stessi".
(José Saramago)

lunedì 23 novembre 2009

Sicurezza alimentare, cambiamento climatico e sicurezza mondiale



Vertice FAO: il presidente della Commissione europea Barroso sottolinea il nesso tra sicurezza alimentare, cambiamento climatico e sicurezza mondiale.
Al vertice della FAO apertosi oggi a Roma il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso proporrà che per la sicurezza alimentare venga istituito un sistema di allarme rapido basato su dati scientifici. Nel suo discorso ai capi di Stato e di governo il presidente Barroso attirerà l’attenzione sul nesso tra sicurezza alimentare, sicurezza mondiale e lotta contro il cambiamento climatico. Al vertice FAO parteciperanno anche i commissari europei per l’agricoltura, Marian Fischer-Boel, e per lo sviluppo e gli aiuti umanitari, Karel De Gucht. Il presidente Barroso ha dichiarato: “Un mondo dove un miliardo di persone sono affamate è non solo una macchia sulla nostra coscienza collettiva, ma anche una crescente minaccia per la nostra sicurezza mondiale. Come la lotta contro il cambiamento climatico, anche la lotta contro la fame non può aspettare: dobbiamo riuscire a dimezzare la fame nel mondo entro il 2015, secondo quanto previsto dagli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. E per la sicurezza alimentare dobbiamo creare un sistema mondiale di allarme rapido basato su dati scientifici, simile a quello istituito nell’ambito della lotta contro il cambiamento climatico. Questa conferenza deve affrontare tre importanti questioni, che sono interconnesse: la sicurezza alimentare, il cambiamento climatico e la biodiversità. Queste sono sfide importanti e difficili, ed io sono determinato ad affrontarle durante il prossimo mandato della Commissione europea.” La partecipazione del presidente Barroso al vertice FAO è coerente con il forte impegno della Commissione europea a favore della sicurezza alimentare e con la decisione dell’UE di aumentare gli aiuti ai Paesi in via di sviluppo, che sono anche le prime vittime del cambiamento climatico. Di tutti i membri della FAO, l’UE è di gran lunga il più importante in termini di contributi al bilancio. La FAO è stata uno dei principali beneficiari dello Strumento alimentare di un miliardo di euro proposto dal presidente Barroso e approvato nel dicembre 2008 dal Consiglio dell’UE. La scorsa settimana il presidente Barroso ha incontrato il direttore generale della FAO Jacques Diouf ed ha sottolineato come finanziamenti continui e investimenti mirati siano necessari per migliorare la sicurezza alimentare nel lungo periodo. Ma gli investimenti – ha sottolineato Barroso – devono essere accompagnati da una buona governance. Inoltre, il coordinamento delle organizzazioni internazionali è essenziale per completare e rafforzare le iniziative multilaterali e bilaterali esistenti.
(Commissione europea, Rappresentanza in Italia)

domenica 22 novembre 2009

Il curato e il pagliaccio



“Io credo che la normalità sia il male e la follia sia il peggio.
Io credo che il diritto di essere diverso sia anche il diritto di
essere uguale”. Queste le parole di Sandro Gindro, psicoanalista di formazio-
ne freudiana, compositore e drammaturgo, cui si deve l’autonomo percorso verso Psicoanalisi Contro nonché la fondazione dell’Istituto Psicoanalistico per le Ricerche Sociali.
Dalla drammaturgia emerge un unico personaggio: il curato
che si dibatte tra le due sue anime: quella del prete e quella del
pagliaccio. La questione è credere o no nell’esistenza di Dio. Ma una volta
ucciso il pagliaccio, l’unico che sapeva ringraziare e per il
quale valeva la pena che fosse stato creato il sole, il mare, gli
alberi, il solo che sapeva goderne, “che farà Dio ”, si chiede il
prete. Ammettendone così l’esistenza. Come pure la ammette il
ragazzo non vedente, che ne canta una dimostrazione, ispirata
alla prova ontologica di Sant’Anselmo da Aosta.
("The priest and the clown", di Sandro Gindro)

sabato 21 novembre 2009

... dove nascono i sogni ...



Dev'essere stato come se fosse venuto da dove nascono i sogni!
(Emily Dickinson)

venerdì 20 novembre 2009

Cos'è un italiano



Non sono uno storico, un sociologo, un antropologo, niente di tutto questo. Sono soltanto un raccontastorie, un romanziere italiano particolarmente attento, questo sì, ai suoi connazionali. E quindi non è un caso che tutte le citazioni a supporto o a pretesto siano tratte dalla letteratura, non da testi di storia. Perciò tutto quello che segue, e che farà sicuramente storcere la bocca agli addetti ai lavori, va preso col beneficio d’inventario. Se si prova a cambiare la domanda in cosa sia un francese o un tedesco, si può rispondere abbastanza agevolmente, magari mettendo in fila tutta una serie di luoghi comuni. Certo, anche per gli italiani sono stati coniati luoghi comuni, tipo «italiani brava gente», ma non credo che gli abissini gassati o i libici deportati siano dello stesso parere. E, senza andare troppo indietro nella storia, non penso che possano dichiararsi d’accordo nemmeno gli extracomunitari che quotidianamente sbarcano sulle nostre coste. Quando si fece l’Europa unita, molti italiani del Nord temettero di perdere, oltre ai soldini, anche la loro identità. Beati loro, che credevano di averne una. Alcuni padani, per affermarla, si sposarono col rito celtico che nessuno sa con esattezza in cosa consista. Comunque è chiaro che i riti celtici o l’adorazione del fiume Po non hanno nulla da spartire con certi riti del Sud come lo scioglimento del sangue di san Gennaro o il Festino di Santa Rosalia. Allora, come si fa a chiamare con lo stesso nome di italiano un contadino friulano e un contadino siciliano? Mi pare che ai suoi tempi anche il cancelliere Metternich, di fronte alle aspirazioni unitarie italiane, si sia posto suppergiù la stessa domanda. E aveva poi così tanto torto chi disse che l’Italia era solo un’espressione geografica? E il politico italiano il quale affermò che una volta fatta l’Italia bisognava fare gli italiani non ammetteva implicitamente che il senso di unità nazionale era da noi ancora del tutto assente? Prima di andare oltre, occorre chiarire come ho inteso il termine «italiano». Diciamo che ho preso a esempio l’italiano cosiddetto medio («ammesso e non concesso / che l’italiano medio è un poco fesso», cantava Laura Betti un quarantennio fa), vale a dire i risultati di una media statistica e ho cercato d’individuare tra di essi un comune denominatore diverso dal titolo di studio, tipo d’impiego, stipendio mensile eccetera. Ma gli uomini non sono numeri, ciascun individuo ha una propria individualità che rende non solo difficile, ma altamente improbabile la precisione del risultato globale. In altre parole, una ricerca cosiffatta di un comune denominatore rischia di non tener conto di tutto quello che può contraddire l’assunto stesso. Mi spiego meglio: non ricordo chi sosteneva che se un tale in un giorno si è mangiato due polli e un altro tale invece non ha neppure desinato, statisticamente risulterà che ne hanno mangiato uno a testa. Allora: per fare un esempio pratico: italiani brava gente? La mia risposta è no, ma ciò non toglie che tra gli italiani ci sia tanta, tantissima brava gente. Ad ogni modo, tratti comuni sono riscontrabili, alcuni visibili a occhio nudo, altri percepibili soltanto attraverso esami di laboratorio. È stato durante il periodo fascista che si è messo in atto il massimo sforzo d’unificazione, con provvedimenti di migrazioni interne e d’abolizione di caratteri distintivi regionalistici. Vennero soprattutto presi di mira i dialetti il cui uso fu severamente proibito a scuola, nei luoghi pubblici, in teatro, al cinema. Ma subito dopo il Minculpop, ossia il ministero della Cultura popolare, emanò una circolare con la quale le compagnie teatrali dialettali di Gilberto Govi (genovese), dei fratelli De Filippo (napoletana) e di Cesco Baseggio (veneziana) erano esentate dalla proibizione. Si trattava di una palese contraddizione, tanto più che le tre compagnie riscuotevano un grande successo su tutto il territorio nazionale, facendo un’indiretta propaganda dei dialetti. Ma questa contraddizione mi offre l’occasione per stabilire un primo tratto comune. È fuor di dubbio che la letteratura dialettale, con Ruzante, Meli, Porta, Belli, Goldoni, Pirandello, De Filippo, abbia spesso prodotto capolavori entrati a far parte del patrimonio culturale dell’intera nazione. Ma qual era, e qual è, l’uso dei rispettivi dialetti nel parlar comune? In un articolo degli ultimi anni dell’Ottocento, intitolato «Prosa moderna», Luigi Pirandello così scriveva: «L’uso della lingua italiana, è cosa vecchia detta e ridetta, non esiste. A Milano si parla il dialetto lombardo, a Torino il piemontese, a Firenze il fiorentino, a Venezia il veneziano, a Palermo il siciliano e così via di seguito, ciascun dialetto ha il suo tipo fonetico, il suo tipo morfologico, il suo stampo sintattico particolare: mettete ora un siciliano e un piemontese, non del tutto illetterati, a parlare insieme. Bene, per intendersi (…) sentiranno il bisogno di appellarsi a una favella comune, alla nazionale, a quella che dovrebbe unir tutti i popoli, poiché l’Italia è unita, alla lingua italiana. (…) Ma dove trovarla, dove si parla questa benedetta lingua italiana? Si parla o si vuol parlare nelle scuole, e si trova nei libri. E il siciliano e il piemontese messi insieme a parlare, non faranno altro che arrotondare alla meglio i loro dialetti, lasciando a ciascuno il proprio stampo sintattico, e fiorettando qua e là questa che vuole essere la lingua italiana parlatain Italia delle reminiscenze di questo o di quel libro letto. Pirandello porta l’esempio di due «non del tutto illetterati». Ma se l’esempio si fosse riferito a due illetterati? Oppure decisamente a due analfabeti? C’è un racconto di De Roberto, dal titolo La paura, che fotografa la realtà linguistica all’interno di una trincea della guerra ’15-’18: ogni soldato parla il dialetto della regione di provenienza. E tra di loro si intendono a gesti, a occhiate. Dunque uno dei comuni denominatori degli italiani è stato, almeno fino agli anni Cinquanta del secolo scorso, la diversificazione dialettale. Come spesso capita da noi, un tratto unificante è costituito da una diversità. Posso spiegarmi meglio facendo ancora ricorso a Pirandello. Egli dichiara, in un articolo intitolato «Teatro siciliano», che risale allo stesso periodo di quello citato in precedenza: «Un grandissimo numero di parole di un dato dialetto sono su per giù – tolte le alterazioni fonetiche – quelle stesse della lingua, ma come concetti delle cose, non come particolare sentimento di esse». Semplificando: di una data cosa, la lingua ne esprime il concetto, mentre il dialetto ne esprime i sentimenti. Il comune sentire italiano, cioè a dire il provare uno stesso sentimento di gioia o di esecrazione davanti a un certo evento, nascerebbe dunque dal pensar dialettale. La concettualizzazione operata dalla lingua porterebbe invece a reazioni non omogenee. Forse, a ben considerare l’origine notarile del volgare («sao ko kelle terre» eccetera), le osservazioni pirandelliane non risultano tanto campate in aria. (...)
(Andrea Camilleri, sito web ICI)

giovedì 19 novembre 2009

Nell'inferno dei bordelli cambogiani dove i bambini sono venduti per 10 dollari



PHNOM PENH - "La vuoi una bambina di dieci anni? O preferisci il mio fratellino, che di anni ne ha otto?". Assieme alla marijuana e all'anfetamina, questo offrono i papponi agli occidentali che scendono negli alberghi da due soldi attorno al lago Bung Kak di Phnom Penh. Anche l'autista di tuk-tuk propone creature di cui abusare: "Conosco un bordello pieno di ragazzine. Costano care, però. Almeno venti dollari". Che la Cambogia sia ancora un paradiso per pedofili lo dimostrano anche le statistiche: una bambina su quaranta viene venduta ai bordelli, alcune di queste hanno appena 5 anni. Almeno un terzo delle prostitute cambogiane è minorenne. "Eppure, qualcosa sta cambiando", dice Bruno Maltoni dell'Organizzazione mondiale per le migrazioni, direttore di un progetto finanziato dalla Cooperazione italiana contro il traffico di minori a scopo sessuale in Cambogia. Negli ultimi anni, Maltoni ha addestrato la polizia cambogiana a riconoscere i segni di abuso, a interrogare vittime e carnefici, a compiere perquisizioni. "Il governo ha deciso di affrontare il problema - spiega Maltoni - ma c'è ancora molto da fare, soprattutto a livello giudiziario. Una volta arrestati, è difficile che i pedofili siano giudicati e condannati". Anche la cronaca recente sembra avvalorare l'ipotesi che le autorità abbiamo finalmente cominciato a combattere il fenomeno. La settimana scorsa, in una pensioncina della capitale sono stati arrestati due tedeschi che stavano girando un video mentre stupravano un minore. Due giorni fa, sulla spiaggia di Sihanoukville, nel sud del paese, la polizia ha fermato un francese, anche lui colto in flagrante, che stava violentando un ragazzino di strada. E ieri, infine, in galera è finita una coppia di cambogiani che aveva venduto la verginità della loro bimba di undici anni. Gli orchi sono spesso europei, australiani o statunitensi. Ma ci sono altri mostri, più insidiosi, perché si confondono tra i cambogiani, quindi più difficili da intercettare. Sono quei pedofili, numerosissimi, che arrivano da Taipei, Hong-Kong, Pechino. "Ci sono cinesi che festeggiano la firma d'un contratto comprandosi una vergine cambogiana, perché credono che deflorarla li ringiovanisca e perché temono che con una prostituta potrebbero beccarsi l'Hiv", spiega Seyla Semleamp dell'ong Aple (Action pour les enfants). "Il problema è che spesso sono le famiglie stesse a fornire loro le bimbe". Bimbe che, quando tornano a casa dopo aver trascorso un paio di notti con il loro stupratore, sono prese a sassate dagli uomini del villaggio, perché considerate srey kouc, anime rotte. "Perciò, dopo che una madre ha venduto la verginità di una bimba di 10 anni per 500 dollari, la piccola finisce in un bordello". Secondo Rithy Pech dell'organizzazione Riverkids da quando le autorità hanno cominciato, sia pure blandamente, a reprimere la prostituzione infantile, i prosseneti hanno cambiato le regole del loro commercio. Se una volta le baby-prostitute le trovavi nei quartieri a luci rosse, negli alberghetti e nei bordelli, oggi bisogna andare nei centri di karaoke e nelle sale di massaggi. L'abominio è forse più occultato di una volta, ma non meno diffuso. Fino a un paio d'anni fa, per esempio, al famigerato "Km 11", un miserabile borghetto a undici chilometri dal centro, per pochi dollari le madri offrivano i loro piccoli sul portone di casa. Oggi, continuano a farlo, ma più di nascosto. "C'è poi un altro sistema per aggirare i controlli", aggiunge Pech. "La mamasan (la ruffiana, ndr) dà al bimbo un cellulare con una ricarica di 10 dollari. E lei va in giro con l'album fotografico della sua scuderia di piccoli schiavi da mostrare al cliente. All'ultimo minuto, chiamerà il prescelto per dirgli dove recarsi". Il centro che Pech dirige in uno slum della capitale offre assistenza sanitaria, educazione, ma anche un piatto di riso a bambini di strada, la maggior parte dei quali ha subito violenza sessuale. Sono circa trecento, inzeppati in stanzette senza finestre, ma finalmente sorridenti, perché al riparo dai soprusi. "Quelli che vede sono tutti potenziali schiavi sessuali", dice Pech. Quanti di loro lo sono già stati? "Almeno la metà". Il direttore del centro ci fa conoscere Chenda, una timida tredicenne che è stata ripetutamente violentata dallo zio e che qui studia l'inglese. È difficile che le ragazze come Chenda raccontino il calvario che hanno subito. "Improvvisamente, magari dopo sei mesi che sono da noi, parlano e si liberano del peso che le opprime", spiega Pech. Come Maltoni e Pech, anche la parigina Françoise Bricout dell'ong La Goutte d'Eau appartiene a quella falange di operatori umanitari che portano sollievo alle piccole vittime del vizio. A Neak Leung, un paesino sulle sponde del Mekong, Françoise coordina un centro con circa duecentottanta bimbi, molti dei quali strappati dai bordelli dove lavoravano da anni, e che adesso cercano di trovare una ragione per continuare a vivere. Prima di approdarvi, nessuno di loro era mai stato a scuola. Qui viene loro insegnato un mestiere (di meccanico, sarta, barbiere o falegname), per far sì che un giorno sia possibile reintegrarli nella società. Uno di loro si stringe stretto stretto a Françoise, quasi volesse proteggerla. È Sovannarith Sam, un sedicenne handicappato mentale, che fu ritrovato tra le immondizie di Battambang, nel nord del paese, quando di anni ne aveva 10. "Era stato stuprato, più volte. Lo si evinceva dal comportamento ossessivo che aveva con i suoi coetanei", dice Françoise. "Di solito, i bambini non denunciano i loro padri dai quali sono stati violentati perché sanno che la polizia li arresterebbe e che la famiglia andrebbe in rovina e non avrebbe più di che mangiare". La nuova maledizione del porto di Sihanoukville è la yahma, così viene chiamata una micidiale metanfetamina fabbricata in Thailandia, di cui ne fa uso l'80 per cento delle lolite cambogiane. La vecchia, ma sempre attuale maledizione del luogo sono i pedofili occidentali, che qui guatano le loro prede sulla spiaggia. Il 65 per cento di loro sono maschietti dagli 8 ai 15 anni. L'ong M'Lop Tapang, letteralmente Sotto l'albero, si occupa proprio dei cosiddetti beach children, bimbi di spiaggia. Il centro che visitiamo è coordinato dall'inglese Margharet Eno, che porta il vanto della hot-line da lei creata per smascherare ed eventualmente acciuffare i pedofili un attimo prima che questi compiano il loro scempio. Dice Margharet: "Alleniamo i bimbi a riconoscerli e a denunciarli quando li molestano. Insegniamo loro i trucchi, le strategie degli orchi. Addestriamo anche la vecchietta che vende bibite ai turisti o il pescatore che ripara la rete". Grazie al numero verde (pubblicizzato su tutti i tuk-tuk della città così come nelle stanze d'albergo) in questo momento le prigioni di Sihanoukville ospitano sei pedofili. Il problema, spiega Margharet, è che il 95 per cento dei minori viene stuprato dai cambogiani. "E quelli, la polizia non li arresta quasi mai". Degli oltre trecento bimbi che sono qui, uno su dieci è stato stuprato. Tutti sono a rischio, appena escono da qui. "Inoltre, spieghiamo loro quali sono i loro diritti e che, per esempio, anche la masturbazione o guardare altri fare sesso o farsi filmare mentre si fa sesso è un abuso", aggiunge Margharet. "Per ricostruire l'autostima di questi piccoli, li facciamo recitare: in alcuni casi, il teatro può avere virtù terapeutiche". Chiediamo a Sylvia Sisowath, cugina del re Sihanouk e presidente dell'organizzazione Les enfants du sourire khmer, in quale misura lo sfacelo di alcune famiglie cambogiane, dove i genitori vendono la verginità delle loro bambine o i loro piccoli agli occidentali, sia imputabile al genocidio perpetrato dai khmer rossi, che tra il 1975 e il 1979 massacrarono un quinto della popolazione del paese. È possibile che quella feroce dittatura, oltre ad aver falciato quasi due milioni di vite, abbia anche devastato le coscienze così in profondità da consentire tale abominio? "Certo, perché il regime di Pol Pot ha decimato il nostro popolo. A questa impressionante moria, si è aggiunto il dramma provocato dalle mine antiuomo che, in alcune regioni, da trent'anni continuano a uccidere una persona al giorno. Oggi, tuttavia, c'è più attenzione per i diritti, o meglio, per la sicurezza dei bambini. Un paio d'anni fa, circolò la voce che i piccoli cambogiani venivano portati in Thailandia per l'esporto di organi. Il governo volle vederci chiaro. Da allora le cose stanno lentamente cambiando". Sarebbe bello poterle credere.
(PIETRO DEL RE, sito web ICI)

mercoledì 18 novembre 2009

Il mare



E sempre a questa solitaria riva
io vengo, alba marina, ad incontrarti.
Svela un lieve chiarore a poco a poco,
sparsi sull’arenoso
lido, gli ossi di seppia, e i pesci morti
dai tondi occhi innocenti,
e le conchiglie dalle rosee labbra.
Già trema nei velati occhi amorosi
l’azzurra alba lontana.
Il mar nelle conchiglie ha voce umana.
(Curzio Malaparte)

martedì 17 novembre 2009

Grande fratello ... piccolo cervello!!!



Quelli che seguono sono brani di interviste agli esclusi
del Grande Fratello 10, riuniti in un video
della Gialappa’s che impazza su YouTube.
Progetti per il futuro? «Vorrei aprirmi una serie di locali,
stare nell’ambito del commercialismo».
Personaggi storici preferiti?
«A me mi piace Bud Spencer e Terence Hill».
La tua passione? «Di solito faccio viaggi incontinentali.
Messico, questi viaggi qua».
Se fossi un personaggio storico, chi vorresti essere? «Maldini».
Il tuo motto? «Otto?» Motto. «Morto?».
Motto! «Ah, motto. Il mio motto? Normale, come sempre».
Sai chi è il presidente francese?
«No. Saccio solo quello italiano. Berlusconi».
Sì, ma il presidente della Repubblica chi è?
«C’è Berlusconi che è il presidente della Repubblica.
Poi c’è il presidente del Consiglio che è Carlo Azeglio Ciampi».
Chi è il presidente della Repubblica Italiana?
«Piersilvio Berlusconi». Silvio o Piersilvio? «No, Piersilvio».
Cosa porteresti in un’isola deserta? «I profilattici».
In un’isola deserta? «Sì, e poi la compagnia che posso dare agli altri».
Che mestiere fai? «Il barrista». Con quante erre? «Due».
Qual è la tua passione?
«Faccio bodibidink: sollevo anche sessanta pesi».
Il viaggio più interessante? «L’ondra».
Come si scrive in inglese? «L - apostrofo - ONDHON».
Se questi sono gli esclusi, non oso immaginare quelli che hanno preso.
(M. Gramellini, "La Stampa")

lunedì 16 novembre 2009

AFFIDI. Non esiste il "sequestro di stato"



Andrea Bollini (Cismai) replica all'inchiesta di Panorama. «Ma quale sequestro di Stato, il problema semmai è che il legame di sangue in Italia è ancora un mito, difficile da recidere»: sbotta così Andrea Bollini, presidente del CISMAI-Coordinament o Italiano dei Servizi contro il Maltrattamento e l’Abuso all’Infanzia. Panorama questa settimana dedica la sua copertina ai 32mila minori che la giustizia ha allontanato dai loro genitori, raccontando quattro storie di errori clamorosi, a partire dai due fratellini sottratti ai genitori a Basiglio, alle porte di Milano, la scorsa primavera. “Sequestri di stato", è il titolo. All'interno del servizio si parla dei bambini dati in affido (16mila) e messi in comunità (15mila) come di «rapiti». Questi bambini sono stati «tolti con forza alle famiglie, non sempre per buone ragioni. Come dimostrano i tanti errori dovuti a fretta e superficialità , Ma anche a un business che vale più di un miliardo di euro l'anno». Insomma, «è tutto il sistema a essere messo sistematicamente in discussione». È su questo che Bollini non ci sta. «Casi di errori giudiziari ci sono stati e ci sono, come pure allontanamenti che non dovevano essere fatti. Ma guai a delegittimare e screditare un sistema facendo credere che l'errore sia sistematico. Questa non è solo disinformazione, è un colpevole rigurgito di adultocentrismo che dimentica i diritti dei bambini», dice. «Storture nel sistema di protezione dei bambini maltrattati ci sono, ma sono di tutt'altro genere, come il fatto che un bambino abusato debba ripetere in ogni grado di giudizio la sua testimonianza: questa sì è violenza istituzionale» . Dal suo osservatorio Bollini non crede al dato citato su Panorama da GianLuca Vignale, consigliere regionale Pdl del Piemonte: 77% dei minori allontanato per metodi educativi non idonei e per impossibilità di seguire i figli, ovvero per «motivi soggettivi». Al contrario vede negli anni un aumento degli allontanamenti fatti per motivi estremamente gravi, come l'abuso o il fortissimo disfunzionamento della capacità genitoriale dovuto a tossicodipendenze o malattie mentali. «Oggi i casi di maltrattamento lieve vengono trattati grazie ai servizi domiciliari e si tengono in famiglia, l'allontanamento si fa per i casi limite o per quelli dove non esistono più le condizioni per restare in famiglia». E comunque ai dati Bollini in questa materia non crede per principio, poiché non esiste in Italia un sistema di monitoraggio sull'abuso e il maltrattamento dei minori. «È una vergogna, questo monitoraggio era previsto dal Piano infanzia, c'è stata una piccolissima sperimentazione con il Centro di documentazione per l'infanzia e l'adolescenza, ma poi tutto è svanito. Non si possono fare politiche serie di contrasto, prevenzione e presa in carico dei bambini maltrattati senza un quadro serio di conoscenza del fenomeno». Giudici troppo interventisti, per Panorama. Troppo prudenti, dice invece nello stesso servizio Melita Cavallo, riferendosi al fatto che «diamo in adozione i bambini solo quando sono distrutti psicologicamente» . Per Bollini i giudici negli ultimi anni hanno deciso meno allontanamenti, e «i provvedimenti urgenti dei giudici monocratici sono praticamente scomparsi: decide la Camera di Consiglio, con due giudici togati e due giudici onorari, anche questa collegialità è una garanzia». Soprattutto Bollini contesta quel 50% di minori che rientrano in famiglia letto come prova schiacciante della fallibilità del sistema: «è al contrario un dato positivo, vuol dire che anche il sistema di accompagnamento delle famiglie funziona. L'allontanamento non è una punizione per i genitori ma un'occasione che gli si dà per recuperare le loro competenze genitoriali. Se la metà ce la fa è un bene per tutti».
(13 novembre 2009, Sara De Carli)

domenica 15 novembre 2009

Arteterapia



L'arteterapia include l'insieme delle tecniche e delle metodologie che utilizzano le attività artistiche visuali (e con un significato più ampio, anche musica, danza, teatro, marionette, costruzione e narrazione di storie e racconti) come mezzi terapeutici, finalizzati al recupero ed alla crescita della persona nella sfera emotiva, affettiva e relazionale. E' dunque un intervento di aiuto e di sostegno a mediazione non-verbale attraverso l'uso dei materiali artistici e si fonda sul presupposto che il processo creativo messo in atto nel fare arte”produce benessere, salute e migliora la qualità della vita. Attraverso l'espressione artistica facilitata da un arteterapeuta adeguatamente formato è possibile incrementare la consapevolezza di sé, fronteggiare situazioni di difficoltà e stress, esperienze traumatiche, migliorare le abilità cognitive e godere del piacere che la creatività artistica, affermando la vita, porta con sé.
(dal sito web Arte come terapia)

sabato 14 novembre 2009

TUTTO IMPARAMMO DELL'AMORE



TUTTO IMPARAMMO DELL'AMORE

Tutto imparammo dell'amore
Alfabeto, parole.
Il capitolo, il libro possente
Poi la rivelazione terminò.
Ma negli occhi dell'altro
Ciascuno contemplava l'ignoranza
Divina, ancora più che nell'infanzia:
L'uno all'altro
(emily Dickinson)

venerdì 13 novembre 2009

Thank God I found you



(Mariah)
I would give up everything
Before I'd separate myself from you
After so much suffering
I've finally found a man that's true
I was all by myself for the longest time
So cold inside
And the hurt from the heart it would not subside
I felt like dying
Until you saved my life
(Chorus - all)
Thank God I found you
I was lost without you
My every wish and every dream
Somehow became reality
When you brought the sunlight
Completed my whole life
I'm overwhelmed with gratitude
Cause baby I'm so thankful
I found you
(Joe)
I would give you everything
There's nothing in this world I wouldn't do
To ensure your happiness
I'll cherish every part of you
Because without you beside me I can't survive
I don't wanna try
If you're keeping me warm each and every night
I'll be all right
Cause I need you in my life
(Chorus - all)
Thank God I found you (I'm begging you)
I was lost without you (so lost without you)
My every wish and every dream (every dream, every dream)
Somehow became reality
When you brought the sunlight (brought the sunlight)
Completed my whole life
I'm overwhelmed with gratitude
Cause baby I'm so thankful
I found you
-Bridge- (Mariah & Joe)
See I was so desolate
Before you came to me
Looking back I guess it shows
that we were destined to shine
After the rain to appreciate
And care for what we have
And I'd go through it all over again
To be able to feel this way
(Chorus - all)
Thank God I found you
I was lost without you (lost without you baby)
My every wish and every dream
Somehow became reality
When you brought the sunlight
Completed my whole life (whole life)
I'm overwhelmed with gratitude
Sweet baby I'm so thankful
I found you
(Chorus - all)
Thank God I found you
I was lost without you
I'm overwhelmed with gratitude
My baby I'm so thankful
I found you
(Mariah)
I'm overwhelmed with gratitude
My baby I'm so thankful I found you
(by Mariah Carey)

giovedì 12 novembre 2009

Amante



Pazzo, amante, poeta: tutti e tre sono composti sol di fantasia.
("Sogno di una notte di mezza estate", di William Shakespeare, Atto V, Scena I)

mercoledì 11 novembre 2009

Amore tu sei alto



Amore, tu sei alto,
e non posso scalarti,
ma se fossimo in due,
chissà mai, se allenandoci
sul Chimborazo
ducali, non potremmo alla fine raggiungerti?
Amore sei profondo,
e non so traversarti,
ma se fossimo due
invece d’uno,
la barca e il rematore, una suprema estate,
chissà se non potremmo toccare il sole?
Amore, sei velato
e ben pochi ti scorgono
Sorridono, si alterano
e balbettano e muoiono.
Sarebbe assurda la felicità senza di te
a cui Dio pose nome Eternità
(Emily Dickinson)

martedì 10 novembre 2009

Insieme a te sto bene



Che cosa vuoi da me,
cosa pretendi da me
se è giusto non lo so,
elementari si e no
la donna e' donna e tu una donna sei,
che importa cosa fai
resta qui con me
finchè vuoi che da mangiare c'è
insieme a te sto bene
tra le braccia tue così
adesso non parlare
anch'io sai
no ho avuto più di quel
che ora tu mi dai
tu prima
eri sola
il tempo corre e vola
oh non spiegarmi chi sei
perchè vai sempre bene per me
la donna è donna donna e tu una donna sei,
che importa cosa fai
resta qui con me
finchè vuoi che freddo non avrai mai.
insieme a te sto bene
tra le braccia tue così
adesso non parlare
anch'io sai no ho avuto più
di quel che ora tu mi dai.
(Lucio Battisti)

lunedì 9 novembre 2009

Teatro Terapia II



Molte attività creative e artistiche consentono di sperimentare aspetti di sé stessi altrimenti difficilmente conoscibili e vivibili. Una delle cosiddette forme di “arteterapia” applicabile in contesti anche molto semplici a tutte le età, è la teatroterapia, che utilizza le potenzialità del “gioco delle parti” per sostenere interventi di prevenzione del benessere, di educazione, di integrazione e di cambiamento. Le possibilità offerte dalla creazione e dall’interpretazione di ruoli, competentemente combinate alle conoscenze e competenze delle scienze psicologiche, consentono di creare percorsi di riabilitazione e programmi in grado di consentire di sostenere la cura della mente. In tal modo, attraverso la messa in scena di parti profonde dell’identità individuale, la teatroterapia consente di superare periodi di disagio, di sviluppare le proprie risorse interiori e di accedere a risorse fondamentali per la propria salute e per il proprio equilibrio interiore, aprendo nuove vie ad esperienze di trasformazione e di guarigione. Tradizionalmente la teatroterapia viene definita la messa in scena dei propri vissuti, nel contesto di un gruppo, con il supporto di alcuni principi di presenza scenica che derivano dall’arte dell’attore (Orioli W., 2001). Ad oggi sono stati sperimentati molti approcci che possono guidare i percorsi di teatroterapia, ognuno dei quali tende ad attivare uno o più processi di crescita personale e di guarigione attraverso l’uso terapeutico della recitazione.
Innanzitutto, l’interpretazione di un ruolo in scena può consentire di esperire delle parti di sé non quotidiane che ci si rifiuta di conoscere in prima persona, ma che possono essere vissute attraverso la dimensione sicura del “personaggio” che consente di sospendere temporaneamente le conseguenze delle proprie azioni pur consentendo di ascoltare i vissuti che il “rappresentare” può generare. Il teatro diviene, in tal modo, un gioco di ruoli e di sensazioni che, attraverso l’interpretazione di storie reali o fittizie, consente di esplorarsi.
In questo senso il teatro assolve alla funzione terapeutica che nasce dal consentire la piena espressione e realizzazione di se stessi, superando pregiudizi e stereotipi, accogliendo dolcemente parti rifiutate della propria storia o di se stessi che possono essere rimesse in scena nella finzione e reincastrate nel proprio mondo interno. Dopo aver creato un luogo protetto di rappresentazione delle parti più intime di sé una persona può scoprire e ristrutturare la propria personalità attraverso il personaggio, lasciando cadere le maschere e accedendo alla propria vera identità, a ciò che può sentire di essere, trovandosi nei panni di ciò che nella quotidianità non è e non riesce ad essere. La teatroterapia, in questo senso, è un aiuto per comprendere meglio “chi si è” e “cosa si desidera essere una volta liberi da vincoli sociali”. L’approccio teatroterapeutico consente altresì di agire ciò che non si può esprimere a parole o che non sarebbe ugualmente liberatorio raccontare, consentendo un’“abreazione scenica" che può coinvolgere eventi vissuti nel passato che possono essere simbolicamente ripercorsi e trasformati attraverso l’improvvisazione che rende possibile riscrivere e trasformare una sceneggiatura, cambiando dettagli comportamentali e sfumature emozionali anche più volte. Inoltre, il contesto protetto del palco permette di imparare nuove reazioni cognitive e comportamentali sperimentando un altro “sé” in situazioni temute che possono essere affrontate, attraverso la drammatizzazione, seguendo percorsi graduali di desensibilizzazione in grado di insegnare a comprendere le proprie reazioni disfunzionali e di allenare, nella finzione scenica, nuove risposte psicofisiche adattive e efficienti. Gli obiettivi che è possibile raggiungere dipendono dalle tecniche adottate che possono essere scelte e utilizzate secondo accorgimenti professionali specifici connessi alla formazione del conduttore e alle tappe attraverso cui, in relazione al proprio approccio, egli decide di programmare il percorso per la realizzazione degli obiettivi a cui aspira. La condizione fondamentale perché qualsiasi obiettivo della teatroterapia possa essere raggiunto è che venga creato un clima di gruppo in cui si favorisce la libertà di espressione di sé, la rinuncia al giudizio verbale e non verbale, in modo che possa essere intrecciata un’autentica comunicazione interiore e una possibilità di relazionarsi con gli altri partecipanti. La partecipazione ad un gruppo di teatroterapia può essere efficacemente sperimentata anche da parte di chi non ha mai fatto esperienze teatrali di alcun tipo, dal momento che l’accento non è centrato sulla tecnica ma sulla possibilità di comunicare e di esprimersi creativamente attraverso i linguaggi teatrali. Nella teatroterapia si possono tradizionalmente isolare tre momenti fondamentali, ognuno dei quali ha degli obiettivi generali che in realtà vengono ulteriormente definiti anche in base all’approccio specifico adottato. Nella tradizionale denominazione si distinguono:
1) Processo primario pre-espressivo che mira a sciogliere paure e resistenze e si basa sul coinvolgimento in esperienze pre-espressive che permettono all’attore-paziente di prendere coscienza di sé a partire dalla comunicazione globale che comprende in modo profondo anche il corpo e la voce. In questa fase si sperimentano spesso esercizi di movimento, di contatto, di vocalizzazione o di narrazione centrati sull’esplorazione senza forma. In alcuni approcci questa è la fase in cui vengono apprese delle tecniche di ascolto delle proprie emozioni, di consapevolezza dei propri pensieri e dei propri movimenti nello spazio scenico.
2) Processo secondario espressivo che è finalizzato alla costruzione del personaggio che permette di comunicare parti dell’interprete. Si tratta di una fase di improvvisazione e di scelta di aspetti di sé a cui dare attenzione e un “linguaggio”. In questa fase si sperimentano uno o più ruoli attraverso esercizi-guida che possono riguardare la costruzione di maschere, l’interpretazione di oggetti, di animali o lo sviluppo di temi suggeriti dal conduttore o dai partecipanti. In alcuni casi in questa fase vengono selezionati copioni tratti da opere esistenti (trame, poesie, ecc.), oppure si sperimentano alcuni ruoli modificando parti preesistenti e creando dialoghi e movimenti di scena personalizzati dagli attori-pazienti.
3) Processo terziario post-espressivo che mira ad integrare azioni e testi prodotti in un allestimento scenico, mettendo insieme, cucendo e dando un senso di gruppo alle improvvisazioni. In questa fase si analizzano i vissuti e si razionalizza sui processi avvenuti in precedenza, cambiando ciò che si desidera cambiare in vista dell’obiettivo di una rielaborazione condivisa. In questa fase si analizza con distacco il personaggio, diventando osservatori esterni e registi di se stessi, un lavoro che permette di definire dettagli attraverso un percorso che risponde al bisogno e alla possibilità di mettere in relazione mondo interno e mondo esterno. Esistono diverse opzioni che riguardano la scelta di un ruolo che generalmente viene affidata alla spontaneità o, se utile, facilitata dal conduttore che può inserire dei temi, delle trame, degli stimoli o dei personaggi specifici. La scelta di un personaggio che ha elementi di somiglianza con la storia o la personalità dell’attore che lo interpreta può essere un valido aiuto per avvicinarsi ad esperienze vissute e non risolte che possono essere riviste da prospettive emotive diverse, talvolta in forme paradossali come la commedia o come il mimo. L’interpretazione di ruoli fantastici ideali, lontani dalla propria quotidianità, può essere un valido aiuto per la scoperta di parti di sé nuove, mai osate, talvolta ritenute impossibili da sperimentare nella semplicità delle proprie esperienze quotidiane. Recitare i propri nemici, identificarsi temporaneamente con personaggi che rappresentano ruoli che nella realtà sono criticati e considerati lontani dal proprio modo di essere, rappresenta un metodo per aumentare le capacità di empatizzare, per dare l’occasione di “mettersi nei panni dell’altro” e di scoprire tutte le sfaccettature di un modo di vivere diverso dal proprio, vivendo allo specchio alcune dinamiche relazionali che sono state osservate sempre dal punto di vista opposto. L’utilità della teatroterapia a scopo preventivo ed educativo si riferisce alla possibilità di sostenere la crescita personale, la conoscenza e il potenziamento di parti di sé e della propria personalità. In questo senso questo metodo consente di perfezionare la propria comunicazione a tutti i livelli, superando tensioni mimiche e blocchi emotivi, allenando anche il non verbale e il paraverbale, pertanto è particolarmente consigliata a chi ha problemi di timidezza, difficoltà relazionali, disagio nell’esprimere il proprio parere, nell’affrontare esami o parlare in pubblico. Per la sua predisposizione a sostenere anche lo sviluppo della creatività, di abilità di memorizzazione, di possibilità di scaricare lo stress, il teatro con tale finalità è spesso adottato anche in attività rivolte a contesti aziendali e scolastici. Le applicazioni teatroterapeutiche a scopo riabilitativo riguardano delle fasce sociali quali detenuti ed ex carcerati, tossicodipendenti, disabili e persone che hanno vissuto in modo prolungato problemi di carattere medico, quali tumori, o anche di tipo psicologico, come ansia, traumi e depressione. In tali casi lavora per la ri-costruzione del proprio ruolo e della propria identità, per l’integrazione di nuove esperienze di vita o parti di sé inaccettate, anche dopo che la persona ha effettuato un concomitante percorso terapeutico di altro tipo. In questa area di azione si collocano anche le esperienze teatrali rivolte ad anziani o a persone sole, che tendono ad aiutare a ritrovare nuovi stimoli per l’apprendimento ma anche per progettare momenti abituali di confronto sociale. La teatroterapia nell’anziano infatti è un ottimo strumento di supporto per mantenere attiva la memoria verbale e motoria, ma anche per sostenere l’umore e la fiducia in se attraverso occasioni che consentono di percepirsi ancora capaci di integrarsi all’interno di un’attività condivisa in gruppo. Infine, la teatroterapia in ambito terapeutico agisce cercando di offrire delle possibilità di integrazione tra parti sane e parti malate, sostenendo e rinforzando il nucleo intatto dell’Io, anche in situazioni di nevrosi, di disturbi borderline o anche in forme di autismo. Naturalmente ogni tipo di problematica richiede la personalizzazione dell’intervento anche in relazione alle caratteristiche specifiche del gruppo di partecipanti.
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI
Orioli W., 2007, Teatroterapia, Erickson.
Orioli W., 2001, Teatro come terapia, Macroedizioni.
Sue J., 1997, Dramatherapy: Theory and practice 3. Routledge, NY.
Lewis P., Johnson D. Read, 2000, Current approaches in Drama Therapy, Paperback.
Rubit J., 2006, Expressive and creative Arts Methods for Trauma survivors, Paperback.
(dal sito web Benessere)

domenica 8 novembre 2009

Teatro Terapia



La teatroterapia (o Teatro Terapia) è una forma di arteterapia di gruppo sempre più diffusa e conosciuta anche dal grande pubblico. Da parte di alcuni psicologi e teatranti, in Italia come all’estero, è stato sviluppato negli ultimi anni un approccio originale che coniuga le teorie psicologiche e le prassi artigianali dell’allestimento scenico. Si definisce teatroterapia la messa in scena dei propri vissuti, all’interno di un gruppo, con il supporto di alcuni principi di presenza scenica derivati dall’arte dell’attore. Essa implica l’educazione alla sensorialità e alla percezione del proprio movimento corporeo e vocale; agisce attraverso la rappresentazione di personaggi extraquotidiani (principalmente improvvisati), ma implica un minuzioso lavoro pre-espressivo. L’obiettivo della seduta di teatroterapia è quello di rendere armonico il rapporto tra corpo, voce, mente nella relazione con l’altro, gli altri, sé stesso e la propria creatività interpretativa. Gli effetti delle sedute di gruppo continuano a produrre risultati sul singolo anche dopo la seduta stessa, in quanto gli stimoli ricevuti entrano a far parte di un’esperienza profonda che la persona può integrare nella vita di tutti i giorni. La Teatroterapia non produce diagnosi, né interpretazioni psicologiche, ma rafforza nuove visioni di sé, pertanto non può sostituire cure psicoterapeutiche, ma le affianca. Cosa succede nel momento magico (o deludente) in cui qualcuno dà vita ad un personaggio e cerca di coinvolgere il pubblico, di trascinarlo con sé entro un altro universo emotivo? Per secoli si è affrontato il problema affidandosi al mito della naturalezza: "l’attore deve immedesimarsi nelle passioni che rappresenta, solo così gli riuscirà efficace". La formulazione di questo assunto è antichissima; già Orazio scrive: "non basta che la poesia sia bella, bisogna che sia dolce e che trascini, a suo piacimento, l’animo degli ascoltatori". Rivolgendosi agli attori scrive: "i volti umani ridono con chi ride e piangono con chi piange. Se vuoi che io pianga, prima devi provare dolore tu: allora la tua sofferenza mi toccherà; ma se farai male la tua parte, mi addormenterò o mi metterò a ridere". Per secoli domina un’idea di rispecchiamento, di mimesi naturale: l’attore cerca di sentire le emozioni che il testo suggerisce, così le può esprimere in modo da comunicarle al pubblico. Fu Diderot (1713-1784), scrittore filosofo francese, ad andare per primo contro corrente, sostenendo la tesi opposta: "l’attore - sostiene Diderot nel saggio critico 'Paradoxe sur le comedien' (pubblicato solo nel 1830) - è veramente grande solo quando resta privo di sensibilità e dirige il proprio corpo come fa il burattinaio con il burattino". L’attore diventa superiore, non solo all’uomo naturale, ma anche al personaggio delineato dal testo. Il testo teatrale è come una specie d’automa, che l’attore manovra e trasforma in qualcosa di nuovo. Il distacco emotivo e l’artificio diventano gli ingredienti fondamentali di quello che chiamiamo arte. Un altro momento di svolta, in direzione della modernità, è in genere individuato nel "sistema" ideato da Konstantin Stanislavskij (1863-1938): per gli attori si tratta di un metodo che ha esercitato una grossa influenza sulle esperienze teatrali delle avanguardie. Esso comporta un vero e proprio percorso, che coinvolge il corpo, la mente e l’etica stessa dell’attore. L’idea centrale è che si giunge a plasmare la mente, agendo sull’universo psichico dell’attore, così da risvegliare in lui una dimensione creativa, che darà nuovo spessore anche ai gesti e agli atteggiamenti del corpo. Il metodo Stanislavskij prevede un allenamento, grazie al quale l’attore diventa tramite creativo fra il testo teatrale e il pubblico. Questo si può realizzare grazie alla capacità dell’attore di creare con le immagini della fantasia. Immagini che, se da un lato sono ispirate al testo e quindi suggerite dall’autore, dall’altro si nutrono di un intenso lavoro personale fatto dall’attore stesso. "Continuate a concentrare l’attenzione sulle immagini che sono davanti agli occhi della vostra mente", dice Stanislavskij a proposito di come ci si prepara a recitare una scena particolare. "Formate i pensieri e le immagini della fantasia secondo il testo e le circostanze fornite dall’autore e dal regista. Ma siccome li avete fatti nascere entrambi – pensieri e immagini – dal vostro cuore, le parole e la verità che voi mettete in queste parole, proprio come se fossero la vostra vita, si fonderanno nel cerchio della vostra immaginazione e sulla scena" (L’attore creativo. Conversazioni al Teatro Bol’Soj, 1918-1922). Si tratta dunque di attivare una dimensione creativa della memoria, facendo leva sul fatto che "la mente di un attore e di un regista è una forza possente". Per riattivare le forze creative, per ritrovare il "tesoro" nascosto e renderlo visibile, bisogna che l’attore raggiunga una disciplina tale da porre ordine nella sua mente; questo significa riuscire a ricomporre i brandelli dei pensieri e delle emozioni, così da ricondurli entro contorni vivi e precisi, così da costruire immagini che si collochino in uno spazio interiore ordinato (quello che Stanislavskij chiama il "circolo creativo"). "Un saggio indiano – egli dice agli allievi– paragonò una volta la mente dell’uomo ad una scimmia… Ora, diceva il saggio, date da bere alla scimmia un po’ di vino. I suoi movimenti somiglieranno ai movimenti di una trottola. Supponiamo ancora che questa scimmia ubriaca sia punta da uno scorpione, essa somiglierà alla mente indisciplinata dell’uomo. Anche se la vostra mente non è indisciplinata a tal punto, in ogni caso assomiglia lo stesso ad un vento turbinoso. Date ad un uomo uno specchio magico in cui possa vedere i suoi pensieri: comunicati, interrotti e di nuovo lasciati cadere, simili ad una nave naufragata. Brandelli, schegge di alberi spezzati, chiodi che fuoriescono da scatole galleggianti, uomini pigiati su scialuppe, rottami, vestiti sparpagliati e così via. A tutto ciò assomigliano i pensieri di un principiante che non sa concentrare l’attenzione né tenerla fissa interamente su un oggetto". Un ulteriore contributo sulla ricerca della verità scenica viene da Artaud, il quale nel teatro della crudeltà fa rivivere la parola attraverso la fisicità carnale dell’attore. L’attenzione è posta ora sull’azione, l’incontro fra interiorità corporea e comunicazione. Nell’azione fisica ed emotiva, attraverso il processo dell’improvvisazione, non c’è manipolazione, né finzione, non c’è costruzione di artificiosità. Il teatro delle passioni artificiali è abolito per un processo di creazioni le cui tappe sono:
* L’improvvisazione libera
* La formalizzazione dell’azione
* L’applicazione del testo all’azione
(dal sito web Utopie)

sabato 7 novembre 2009

Tutti artisti!



"Esprimere il proprio pensiero attraverso segni, disegni e immagini appartiene alla natura dell'uomo allo stesso titolo del linguaggio verbale (i bambini ce ne danno conferma) e non richiede quei doni speciali di cui parlano i pittori di professione.
Ogni uomo può dipingere come ogni uomo può parlare.
Si è mai sentito dire di uno che si sia cucito la bocca per riservare il diritto di parlare a degli specialisti congeniti?"
(Jean Dubuffet)

venerdì 6 novembre 2009

Prepotenza della libido



Desafueros de la libido.
Los casos del cineasta Roman Polanski, el ministro de Cultura francés, Frédéric Mitterrand, y el primer ministro italiano, Silvio Berlusconi, nos muestran el eclipse de toda moral.
El cineasta Roman Polanski fue detenido en Zúrich, durante un Festival de Cine que le rendía un homenaje, por la policía suiza, a pedido de la justicia de Estados Unidos, debido a una violación cometida en 1977 (hace 32 años) en Hollywood, delito que el propio Polanski reconoció, antes de fugarse de California en pleno proceso cuando el tribunal que lo juzgaba aún no había pronunciado sentencia. Ahora, mientras espera que Suiza decida si acepta el pedido de extradición, se multiplican las protestas de cineastas, actores, actrices, intelectuales y escritores de Europa y América por el "atropello", exigiendo su liberación. La moral de la historia es clara: emboscar, emborrachar, drogar y violar a una niña de 13 años, que es lo que hizo Polanski con su víctima, Samantha Geimer, a la que atrajo a la casa deshabitada de Jack Nicholson con el pretexto de fotografiarla, es tolerable si quien comete el desafuero no es un hombrecillo del montón sino un creador de probado talento (Polanski lo es, sin la menor duda). Abusar de una niña, gozar con esclavos y hacer del poder un burdel son escarnios de la libertad. Las proezas de este trío son aún menos excusables que las de los curas pedófilos. Uno de los defensores más ruidosos del cineasta polaco-francés (tiene ambas nacionalidades) ha sido el ministro de Cultura de Francia, señor Frédéric Mitterrand, sobrino del presidente François Mitterrand y ex socialista que abandonó las filas de este partido cuando el presidente Nicolas Sarkozy lo llamó a formar parte de su Gobierno. No sospechaba el ministro que poco después de formular aquella enérgica protesta se vería en el corazón de una tormenta mediática parecida a la del realizador de El cuchillo en el agua y El pianista. En efecto, hace pocos días, la hija del líder del Front Nacional, Jean Marie Le Pen, Marine Le Pen, inició una ofensiva política contra el ministro Mitterrand, recordando que en 2005 éste publicó un libro autobiográfico, La Mauvaise vie (La mala vida), en el que confesaba haber viajado a Tailandia en pos de los chicos jóvenes de los prostíbulos de Patpong, en Bangkok. La confesión, muy explícita, venía adornada de consideraciones inquietantes, por decir lo menos, sobre los efectos turbadores que la industria sexual de adolescentes en el país asiático provocaba en el autor: "Todo ese ritual de feria de efebos, de mercado de esclavos, me excita enormemente". La hija del líder ultra francés, y algunos diputados socialistas, unidos por una vez con este motivo, se preguntaban si era adecuado que fuera ministro de Cultura de Francia alguien que, con su conducta, desmentía de manera categórica los declarados empeños del Gobierno francés por erradicar de Europa el "turismo sexual" hacia los países del Tercer Mundo como Tailandia donde la prostitución infantil, una verdadera plaga, golpea de manera inmisericorde sobre todo a los pobres. El ministro Mitterrand, sin dejarse arredrar por lo que él y sus defensores consideran una conjura de la extrema derecha fascista y un puñado de resentidos del Partido Socialista, compareció en la hora punta de la Televisión Francesa. Explicó que "había cometido un error, no un delito" y que, naturalmente, no pensaba renunciar porque "recibir barro de la ultraderecha es un honor". Aseguró que no practica la pedofilia y que los chicos tailandeses de cuyos servicios sexuales disfrutó ya no eran niños. "¿Y cómo sabía usted, señor ministro, que no eran menores de edad?", le preguntó la entrevistadora. Desconcertado , el señor Frédéric Mitterrand optó por explicar a los televidentes la diferencia semántica entre homosexualidad y pedofilia. La defensa que han hecho políticos e intelectuales franceses del ministro de Cultura se parece mucho a la que ha cerrado filas detrás de Polanski, y hermana también, cosa significativa, como a los críticos, a gente de la derecha y la izquierda. Se recuerda que, cuando el libro salió, el propio presidente Sarkozy alabó la franqueza con que el señor Mitterrand exponía a la luz pública los caprichos de su libido, y afirmó: "Es un libro valiente y escrito con talento". Con todo este chisporroteo periodístico en torno a él, es seguro que La Mauvaise vie (La mala vida) se convertirá pronto en un best-seller. Tal vez no obtenga el Prix Goncourt, pero quién puede poner en duda que lo leerán hasta las piedras. Nadie parece haberse preguntado, en todo este trajín dialéctico, qué pensarían en Francia de un ministro tailandés que confesara su predilección por los adolescentes franceses a los que vendría a sodomizar (o a ser sodomizado por ellos) de vez en cuando en las calles y antros pecaminosos de la Ciudad Luz. Moral de la historia: está bien practicar la pedofilia y fantasías equivalentes siempre que se trate de un escritor franco y talentoso y los chicos en cuestión sean exóticos y subdesarrollados. Comparado con el cineasta Polanski y el ministro Mitterrand, el primer ministro de Italia, Silvio Berlusconi, es, en materia sexual, un ortodoxo y un patriota. A él lo que le gusta, tratándose de la cama, son las mujeres hechas y derechas y sus compatriotas, es decir, que sean italianas. Él ha hecho algo que de alguna manera lo emparienta con los 12 Césares de la decadencia y sus extravagancias descritas por Suetonio: llenar de profesionales del sexo no sólo su suntuosa residencia de Cerdeña llamada Villa Certosa sino, también, el Palacio que es la residencia oficial de la jefatura de Gobierno, en Roma. Los entreveros sexuales colectivos y seudo paganos que propicia han dado la vuelta al mundo gracias al fotógrafo Antonello Zappadu, que los documentó y vendió por doquier. Al estadista le gustaba disfrutar en compañía y en una de esas extraordinarias fotografías de Villa Certosa ha quedado inmortalizado el ex primer ministro checo, Mirek Topolanek, quien, de visita en Italia, fue invitado por su anfitrión a una de aquellas bacanales, donde aparece dando un salto simiesco, desnudo como un pez y con sus atributos viriles en furibundo estado de erección (¿lanzaba al mismo tiempo el alarido de Tarzán?), entre dos ninfas, también en cueros. ¿La moraleja en este caso? Que si usted es uno de los hombres más ricos de Italia, dueño de un imperio mediático, y un político que ha ganado tres elecciones con mayorías inequívocas, puede darse el lujo de hacer lo que a sus gónadas les dé la reverendísima gana. Hablar de escándalo en estos tres casos sería impropio. Sólo hay escándalo cuando existe un sistema moral vulnerado por el hecho escandaloso. Eso es lo que subleva a toda o parte de la sociedad. Lo que vemos, en estos episodios, es más bien el eclipse de toda moral, simples espectáculos, utilizados, por quienes los defienden o los condenan, no en nombre de principios y valores sobre los que existiría alguna forma de consenso social, sino de intereses políticos, reflejos condicionados ideológicos, frivolidad y una chismografía mediática que los redime de toda connotación ética y los convierte en diversión para el gran público. Para la cultura imperante, sólo es lícito condenarlos desde un punto de vista estético y sostener, sin caer en el ridículo, que es una vulgaridad violar niñas, ir a Tailandia como hace la plebe a alquilar muchachos y contratar hetairas para las fiestas palaciegas ¡y luego hacerlas candidatas al Parlamento Europeo! Todo eso revela mal gusto, una imaginación sexual burda y cochambrosa. La generación a la que pertenezco dio varias batallas: por la revolución, el comunismo, la emancipación de la mujer, la libertad religiosa y la libertad sexual. Parecía que, habiendo perdido todas las otras, por lo menos en Occidente habíamos ganado esta última. Episodios como los que resumo en esta nota muestran que creer semejante cosa es una ilusión. ¿Qué clase de libertad sexual hay detrás de las villanías de este trío? Abusar de una niña de 13 años, gozar con adolescentes que son esclavos sexuales por culpa del hambre y la violencia y convertir en un burdel el poder al que se ha llegado mediante el voto de millones de ingenuos, son acciones que hacen escarnio de la libertad que precisamente clama porque en la vida sexual desaparezca esa relación de amo y esclavo que, en estos tres casos, se manifiesta de manera flagrante. La libertad sexual es en ellos una patente de corso que permite a quienes tienen fama, dinero o poder, materializar de manera impune sus deseos degradando a los más débiles. Apuesto mi cabeza que los tres héroes de estas historias reprobaron escandalizados las violaciones y abusos sexuales de niños en los colegios religiosos que han llevado al borde de la ruina a la Iglesia Católica en países como Estados Unidos e Irlanda, por las sumas enormes con que han debido compensar a las víctimas. Ni ellos ni sus defensores parecen conscientes de que sus proezas son todavía menos excusables que las de los curas pedófilos por la posición de privilegio que tienen y de la que abusaron, envileciendo con sus actos la noción misma de libertad. Cuánta razón tenía Georges Bataille cuando pronosticaba que la supuesta sociedad "permisiva" serviría para acabar con el erotismo pero no con la brutalidad sexual.
(di MARIO VARGAS LLOSA, 18/10/2009, El Paìs)

giovedì 5 novembre 2009

E' morto Claude Lévi-Strauss


"Riporto di seguito, brevemente ed ellitticamente, quelle tesi che più mi hanno colpito ed affascinato dell’opera del grande antropologo:
1. Innanzitutto la sua “ideologia rousseauista“. Avere ritenuto Rousseau il fondatore delle scienze umane ha avuto un’importanza straordinaria nel dibattito antropologico novecentesco e nell’avvicinare gli studi etnologici alla filosofia. Lévi-Strauss ritiene a ragione Rousseau il filosofo che ha individuato nella questione del rapporto natura/cultura uno dei nodi cruciali dell’esperienza umana. La fondazione di questo tema avviene a suo parere proprio con il Discorso sull’origine della disuguaglianza, insieme al meno noto, ma altrettanto importante, Saggio sull’origine delle lingue: per studiare l’uomo, bisogna imparare a guardare lontano; non solo: la volontà sistematica di identificazione all’altro va di pari passo con un rifiuto ostinato di identificazione a sé. Scrive a tal proposito Lévi-Strauss:
“A Rousseau dobbiamo la scoperta di questo principio, il solo su cui possano fondarsi le scienze umane, ma che doveva restare inaccessibile e incomprensibile fintantoché fosse regnata una filosofia la quale, prendendo il proprio punto di partenza nel cogito, fosse prigioniera delle pretese evidenze dell’io, e non potesse aspirare a fondare una fisica se non rinunciando a fondare una sociologia e persino una biologia: Cartesio crede di passare direttamente dall’interiorità di un uomo all’esteriorità del mondo, senza rendersi conto che fra tali due estremi si collocano le società, le civiltà, ossia i mondi degli uomini.”
Rousseau è il pensatore che ha fatto dell’esperienza dell’alterità lo snodo fondamentale della filosofia (e dunque della conoscenza): esperire l’altro – innanzitutto quell’altro che è me stesso, persino nella sua forma estrema, e cioè l’animalità – è l’elemento fondante di ogni discorso possibile sulla natura umana.
2. Il concetto di pietas, anche questo indicato da Rousseau come “facoltà” originaria che gli esseri umani condividono con gli animali e con il mondo vivente più in generale, e che individua nell’altro non solo il parente, il vicino, il compatriota (secondo una linea tipicamente etnocentrica/egocentrica), ma l’essere umano qualsiasi proprio in quanto essere umano, fino a considerare l’animale in quanto tale e ad abbracciare nel circolo del riconoscimento l’essere vivente qualsiasi in quanto essere vivente: “L’uomo comincia dunque con il sentirsi identico a tutti i suoi simili, e non dimenticherà mai questa esperienza primitiva”. La pietà è un tratto originario del vivente, scritto, potremmo dire, nel suo Dna e non può esser cancellato, pena la distruzione della vita in quanto tale – una possibilità, quest’ultima, che gli umani hanno tenacemente perseguito, e che deriva da quell’abisso che chiamiamo “libertà“. Libertà di costruire e di perfezionarsi (perfectibilé, la chiama Rousseau), ma anche di distruggere l’altro da sé e, in questo modo, se stessi.
3. Non entro nemmeno nel merito del cosiddetto “pensiero selvaggio” (e della critica dell’antinomia tra mentalità logica e mentalità magica o prelogica), ma colpiscono ne La pensée sauvage di Lévi-Strauss alcuni esempi etnologici di conoscenza indigena/primitiva. Mi limito a riportarne uno: i pigmei filippini conoscono (o conoscevano) nomi e descrizioni di 450 piante, 75 uccelli, della quasi totalità di serpenti, pesci, insetti e mammiferi del loro territorio, oltre alle 20 specie di formiche – conoscenze che condividono in buona parte con i bambini. Vogliamo organizzare una gara con gli abitanti di una qualunque città occidentale?
4. Un’altra grande lezione che ho imparato da Lévi-Strauss riguarda la concezione del “progresso“, da “relativizzare” sempre e comunque – cioè da collocare nel contesto storico-culturale e da osservare con adeguata distanza spazio-temporale. Due esempi su tutti: noi che ci crediamo così avanzati dipendiamo ancora da alcune “immense” scoperte della rivoluzione neolitica, e cioè l’agricoltura, l’allevamento, la ceramica, la tessitura… “A tutte queste ‘arti della civiltà’, da otto o diecimila anni ci siamo limitati ad arrecare solo perfezionamenti”. E quando un osservatore tra qualche migliaio di anni studierà l’altra grande rivoluzione dopo la neolitica, e cioè quella scientifica e industriale, potrebbe ritenere piuttosto futile e secondario sapere dove è cominciata, visto che in breve (una frazione di tempo secondo la prospettiva della lunga durata) ha contagiato l’intero pianeta. Oltre al fatto che potrebbe ritenere casuale che sia cominciata in Occidente piuttosto che in Oriente"
(dal blog La botte di Diogene)

mercoledì 4 novembre 2009

Se ami



"Se ami qualcuno lascialo andare: se torna è tuo, se non torna vuol dire che non lo è mai stato."
(Jim Morrison)

martedì 3 novembre 2009

L'assente



Anche se non ci sei più, continui ad essere

nel ricordo di quelli che t’han visto,

in quelli che so io,

ai quali chiedo

un’entrata attraverso i loro occhi,

per potermi acquistare la tua presenza.

Anche se non sei più qui, continui ad essere

con il corpo diviso in altri corpi

nei quali riconosco

in questo il tuo sguardo,

in quello la tua voce,

in quell’altro il tuo profilo.

Continui a stare qui integro, o quasi;

per me eri tutto

e tutto era parte di te: la terra, l’aria,

gli uccelli, i fiori…

come se il mondo fosse un tuo vestito.

E ora, mi manca solo

una parte di quel vestito,

perché continui a essere

l’intero paesaggio che contemplo

con l’aria, con la terra, e fiori e uccelli,

ma senza carne umana:

la sola parte di te che resta assente.

(Manuel Altolaguirre)

lunedì 2 novembre 2009

Buon lavoro



Più desidero che qualcosa sia fatto, meno lo chiamo lavoro.
(Richard Bach)

domenica 1 novembre 2009

Il tuo sorriso



Toglimi il pane, se vuoi,
toglimi l'aria, ma
non togliermi il tuo sorriso.

Non togliermi la rosa,
la lancia che sgrani,
l'acqua che d'improvviso
scoppia nella tua gioia,
la repentina onda
d'argento che ti nasce.

Dura è la mia lotta e torno
con gli occhi stanchi,
a volte, d'aver visto
la terra che non cambia,
ma entrando il tuo sorriso
sale al cielo cercandomi
ed apre per me tutte
le porte della vita.

Amor mio, nell'ora
più oscura sgrana
il tuo sorriso, e se d'improvviso
vedi che il mio sangue macchia
le pietre della strada,
ridi, perché il tuo riso
sarà per le mie mani
come una spada fresca.

Vicino al mare, d'autunno,
il tuo riso deve innalzare
la sua cascata di spuma,
e in primavera, amore,
voglio il tuo riso come
il fiore che attendevo,
il fiore azzurro, la rosa
della mia patria sonora.

Riditela della notte,
del giorno, della luna,
riditela delle strade
contorte dell'isola,
riditela di questo rozzo
ragazzo che ti ama,
ma quando apro gli occhi
e quando li richiudo,
quando i miei passi vanno,
quando tornano i miei passi,
negami il pane, l'aria,
la luce, la primavera,
ma il tuo sorriso mai,
perché io ne morrei.
(Pablo Neruda)