sabato 23 maggio 2009
Farmaci e conflitti d'interesse
FARMACI, RICERCA PUBBLICATA DA CANCER: QUASI UN TERZO DEGLI STUDI È FINANZIATO DA AZIENDE FARMACEUTICHE COINVOLTE NELLO SVILUPPO DELL’OGGETTO DELLO STUDIO.
LAV: CONFLITTI D’INTERESSE A SPESE DEL MALATO.
Secondo la rivista Cancer su 1.534 pubblicazioni scientifiche esaminate (tratte da otto fra le maggiori riviste del settore), il 17% ha dichiarato un finanziamento da parte dell’industria farmaceutica, e il 12% la presenza di almeno un autore con qualche incarico presso imprese farmaceutiche, con la scontata conseguenza che tali studi, in palese conflitto di interessi, abbiano la tendenza a ottenere risultati più positivi rispetto alla media, cosa che potrebbe mettere in dubbio la correttezza degli esiti.
“Il rischio, infatti, è che i risultati dello studio siano indirizzati in favore della sostanza da testare, se l'azienda finanziatrice ha interessi economici in gioco, contravvenendo all’etica del principio sperimentale e del malato che usufruirà del nuovo composto farmacologico”, commenta la biologa Michela Kuan, responsabile LAV settore Vivisezione.
Tale presupposto trova molteplici conferme nella storia “artefatta” della farmacologia, non ultima l’indagine, apparsa sempre su Cancer nel 2007, sugli studi per il cancro al seno che avevano registrato un 84% di esiti positivi per le sperimentazioni in cui erano coinvolte le case farmaceutiche, contro il 54% di quelle che non l’avevano.
Uscendo dal settore oncologico, inoltre, un confronto statistico frutto di una sintesi quantitativa di 124 farmaci contro l’ipertensione, apparso sul British Medical Journal nel 2008, ha evidenziato che anche se i risultati effettivamente positivi riguardavano poco più della metà degli studi, oltre il 90% degli articoli riportava conclusioni comunque positive.
“Questi dati allarmanti, purtroppo non sono una novità, ma solo il frutto di un processo preclinico e clinico distorto che spesso non agisce nell’interesse della salute umana ma sotto floridi interessi economici”, prosegue Michela Kuan.
L’iter di commercializzazione del farmaco, quindi, attua un doppio errore, etico e scientifico, prevedendo un primo passaggio, obbligatorio, sull’animale, che produce dati non trasferibili tra specie diverse e quindi non predittivi sull’uomo, e test clinici sulla nostra specie i cui risultati vengono fortemente influenzati dalle aziende private che commissionano lo studio.
Gli animali da laboratorio, infine, sono esseri viventi privati di normali simbiosi con micro-organismi con i quali si sono evoluti, isolati da suoni, odori, con dinamiche comportamentali artificiali e mutanti, per cui i dati ottenuti da ricerche su di loro non sono attendibili nemmeno per i loro con specifici.
Numerosissimi farmaci, potenzialmente utili, ogni anno vengono scartati dopo che prove su animali hanno evidenziato problemi. Quegli stessi farmaci, però, forse non sarebbero stati affatto dannosi per l’organismo umano, perdendo così, potenzialmente, valide terapie per la salute umana.
(Pubblicato il 14.05.2009 dall'Ufficio stampa LAV-Lega AntiVivisezione)
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