domenica 8 novembre 2009

Teatro Terapia



La teatroterapia (o Teatro Terapia) è una forma di arteterapia di gruppo sempre più diffusa e conosciuta anche dal grande pubblico. Da parte di alcuni psicologi e teatranti, in Italia come all’estero, è stato sviluppato negli ultimi anni un approccio originale che coniuga le teorie psicologiche e le prassi artigianali dell’allestimento scenico. Si definisce teatroterapia la messa in scena dei propri vissuti, all’interno di un gruppo, con il supporto di alcuni principi di presenza scenica derivati dall’arte dell’attore. Essa implica l’educazione alla sensorialità e alla percezione del proprio movimento corporeo e vocale; agisce attraverso la rappresentazione di personaggi extraquotidiani (principalmente improvvisati), ma implica un minuzioso lavoro pre-espressivo. L’obiettivo della seduta di teatroterapia è quello di rendere armonico il rapporto tra corpo, voce, mente nella relazione con l’altro, gli altri, sé stesso e la propria creatività interpretativa. Gli effetti delle sedute di gruppo continuano a produrre risultati sul singolo anche dopo la seduta stessa, in quanto gli stimoli ricevuti entrano a far parte di un’esperienza profonda che la persona può integrare nella vita di tutti i giorni. La Teatroterapia non produce diagnosi, né interpretazioni psicologiche, ma rafforza nuove visioni di sé, pertanto non può sostituire cure psicoterapeutiche, ma le affianca. Cosa succede nel momento magico (o deludente) in cui qualcuno dà vita ad un personaggio e cerca di coinvolgere il pubblico, di trascinarlo con sé entro un altro universo emotivo? Per secoli si è affrontato il problema affidandosi al mito della naturalezza: "l’attore deve immedesimarsi nelle passioni che rappresenta, solo così gli riuscirà efficace". La formulazione di questo assunto è antichissima; già Orazio scrive: "non basta che la poesia sia bella, bisogna che sia dolce e che trascini, a suo piacimento, l’animo degli ascoltatori". Rivolgendosi agli attori scrive: "i volti umani ridono con chi ride e piangono con chi piange. Se vuoi che io pianga, prima devi provare dolore tu: allora la tua sofferenza mi toccherà; ma se farai male la tua parte, mi addormenterò o mi metterò a ridere". Per secoli domina un’idea di rispecchiamento, di mimesi naturale: l’attore cerca di sentire le emozioni che il testo suggerisce, così le può esprimere in modo da comunicarle al pubblico. Fu Diderot (1713-1784), scrittore filosofo francese, ad andare per primo contro corrente, sostenendo la tesi opposta: "l’attore - sostiene Diderot nel saggio critico 'Paradoxe sur le comedien' (pubblicato solo nel 1830) - è veramente grande solo quando resta privo di sensibilità e dirige il proprio corpo come fa il burattinaio con il burattino". L’attore diventa superiore, non solo all’uomo naturale, ma anche al personaggio delineato dal testo. Il testo teatrale è come una specie d’automa, che l’attore manovra e trasforma in qualcosa di nuovo. Il distacco emotivo e l’artificio diventano gli ingredienti fondamentali di quello che chiamiamo arte. Un altro momento di svolta, in direzione della modernità, è in genere individuato nel "sistema" ideato da Konstantin Stanislavskij (1863-1938): per gli attori si tratta di un metodo che ha esercitato una grossa influenza sulle esperienze teatrali delle avanguardie. Esso comporta un vero e proprio percorso, che coinvolge il corpo, la mente e l’etica stessa dell’attore. L’idea centrale è che si giunge a plasmare la mente, agendo sull’universo psichico dell’attore, così da risvegliare in lui una dimensione creativa, che darà nuovo spessore anche ai gesti e agli atteggiamenti del corpo. Il metodo Stanislavskij prevede un allenamento, grazie al quale l’attore diventa tramite creativo fra il testo teatrale e il pubblico. Questo si può realizzare grazie alla capacità dell’attore di creare con le immagini della fantasia. Immagini che, se da un lato sono ispirate al testo e quindi suggerite dall’autore, dall’altro si nutrono di un intenso lavoro personale fatto dall’attore stesso. "Continuate a concentrare l’attenzione sulle immagini che sono davanti agli occhi della vostra mente", dice Stanislavskij a proposito di come ci si prepara a recitare una scena particolare. "Formate i pensieri e le immagini della fantasia secondo il testo e le circostanze fornite dall’autore e dal regista. Ma siccome li avete fatti nascere entrambi – pensieri e immagini – dal vostro cuore, le parole e la verità che voi mettete in queste parole, proprio come se fossero la vostra vita, si fonderanno nel cerchio della vostra immaginazione e sulla scena" (L’attore creativo. Conversazioni al Teatro Bol’Soj, 1918-1922). Si tratta dunque di attivare una dimensione creativa della memoria, facendo leva sul fatto che "la mente di un attore e di un regista è una forza possente". Per riattivare le forze creative, per ritrovare il "tesoro" nascosto e renderlo visibile, bisogna che l’attore raggiunga una disciplina tale da porre ordine nella sua mente; questo significa riuscire a ricomporre i brandelli dei pensieri e delle emozioni, così da ricondurli entro contorni vivi e precisi, così da costruire immagini che si collochino in uno spazio interiore ordinato (quello che Stanislavskij chiama il "circolo creativo"). "Un saggio indiano – egli dice agli allievi– paragonò una volta la mente dell’uomo ad una scimmia… Ora, diceva il saggio, date da bere alla scimmia un po’ di vino. I suoi movimenti somiglieranno ai movimenti di una trottola. Supponiamo ancora che questa scimmia ubriaca sia punta da uno scorpione, essa somiglierà alla mente indisciplinata dell’uomo. Anche se la vostra mente non è indisciplinata a tal punto, in ogni caso assomiglia lo stesso ad un vento turbinoso. Date ad un uomo uno specchio magico in cui possa vedere i suoi pensieri: comunicati, interrotti e di nuovo lasciati cadere, simili ad una nave naufragata. Brandelli, schegge di alberi spezzati, chiodi che fuoriescono da scatole galleggianti, uomini pigiati su scialuppe, rottami, vestiti sparpagliati e così via. A tutto ciò assomigliano i pensieri di un principiante che non sa concentrare l’attenzione né tenerla fissa interamente su un oggetto". Un ulteriore contributo sulla ricerca della verità scenica viene da Artaud, il quale nel teatro della crudeltà fa rivivere la parola attraverso la fisicità carnale dell’attore. L’attenzione è posta ora sull’azione, l’incontro fra interiorità corporea e comunicazione. Nell’azione fisica ed emotiva, attraverso il processo dell’improvvisazione, non c’è manipolazione, né finzione, non c’è costruzione di artificiosità. Il teatro delle passioni artificiali è abolito per un processo di creazioni le cui tappe sono:
* L’improvvisazione libera
* La formalizzazione dell’azione
* L’applicazione del testo all’azione
(dal sito web Utopie)

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